La Manovra 2026 conferma la centralità della ZES Unica nelle politiche industriali e di coesione, ma al tempo stesso introduce una stretta sull’uso dei crediti d’imposta che ne modificherà in profondità l’operatività.
La proroga del tax credit ZES fino al 31 dicembre 2028 assicura continuità agli investimenti, ma la nuova disciplina sulle compensazioni — in vigore dal 1° luglio 2026 — ne ridisegna la gestione finanziaria, rendendo l’agevolazione più controllata e meno flessibile.
Credito ZES: continuità fino al 2028 e dotazioni certe
L’articolo 95 della bozza bollinata estende il credito d’imposta per gli investimenti nelle aree ZES fino al 2028, aggiornando la disciplina del DL 124/2023.
Restano invariati i principi: il credito spetta per investimenti produttivi in beni strumentali nuovi — macchinari, impianti e immobili strumentali — realizzati nelle aree ZES ammesse agli aiuti europei a finalità regionale.
La dotazione complessiva supera i 4 miliardi di euro: 2,3 miliardi per il 2026, un miliardo per il 2027 e 750 milioni per il 2028.
Il credito si calcola in percentuale al valore dell’investimento ed in base alla dimensione d’impresa e alla localizzazione, con comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate entro il 30 maggio di ogni anno e integrazione a gennaio dell’anno successivo con fatture elettroniche e certificazioni.
Rimangono escluse le imprese dei settori siderurgico, energetico, finanziario e assicurativo, in coerenza con le regole UE.
Viene eliminata la “finestra temporale del 15 novembre”: gli investimenti potranno essere effettuati per l’intero anno fiscale, dal 1 gennaio al 31 dicembre con rendicontazione nell’anno successivo.
Stretta sulle compensazioni: scatta dal luglio 2026
La seconda novità, molto più strutturale e per certi aspetti preoccupante, è contenuta nell’articolo 26, rubricato “Misure di contrasto alle indebite compensazioni”.
Dal 1° luglio 2026, i crediti d’imposta di natura agevolativa (inclusi quelli ZES) non potranno più essere utilizzati per compensare debiti previdenziali, assistenziali e premi INAIL.
La misura colpisce trasversalmente tutto il sistema dei bonus, dai crediti ZES ai tax credit per la transizione 4.0 e 5.0, fino ai bonus edilizi.
Scende inoltre da 100 mila a 50 mila euro la soglia oltre la quale scatta il blocco delle compensazioni in presenza di ruoli pendenti.
Resta consentito l’utilizzo dei crediti solo per compensare imposte dirette e indirette (IRES, IRPEF, IRAP, IVA).
La ratio è quella di limitare le compensazioni dei crediti d’imposta — stimati in oltre 140 miliardi di euro, composti prevalentemente da bonus edilizi, secondo le relazioni tecniche — contrastando gli abusi e riducendo l’utilizzo di crediti “a rischio”, ma la misura incide anche sulla liquidità delle imprese che utilizzano la compensazione, in maniera totalmente legittima, come strumento di autofinanziamento.
La proroga triennale del credito ZES garantisce orizzonte e stabilità a chi investe nei territori agevolati, ma la ”stretta” sulle compensazioni rende il beneficio meno “liquido” con buona pace della “certezza del diritto”, considerato che tantissime aziende hanno sostenuto investimenti importanti per vedersi riconosciuto un contributo, sotto forma di credito d’imposta, compensabile liberamente con “tributi e contributi”. Le imprese con una considerevole forza lavoro ed una bassa marginalità vedranno rallentare (non di poco) il recupero effettivo delle agevolazioni fiscali, concesse con regole diverse da quelle previste dal Ddl Bilancio 2026.
Per le imprese, la sfida sarà gestire la pianificazione finanziaria in modo più rigoroso, perché la leva del credito (se tali regole saranno confermate senza modifiche in sede parlamentare) non potrà più tradursi immediatamente in liquidità.
E’ fuor di dubbio che il “tax credit ZES Unica” rappresenti un pilastro delle politiche di sviluppo territoriale, e la previsione fino al 2028 lo conferma. Tuttavia, con le modifiche in commento, rischia di ridursi l’interesse a investire in tali aree, anche per l’incertezza che un simile cambio di rotta può generare tra gli operatori.
La norma, infatti, non distingue tra crediti già maturati e futuri, ma si limita a specificare che dal 1° luglio 2026 la nuova disciplina sulle compensazioni varrà per tutti, comprese le imprese che hanno già sostenuto spese e completato investimenti contando sulla piena compensabilità del credito.
Una rigidità che rischia di penalizzare proprio i soggetti più virtuosi, quelli che hanno anticipato capitali significativi in infrastrutture, impianti e occupazione, confidando nella stabilità della norma originaria.
Per tali motivi, dal mondo produttivo è prevedibile che si levino richieste per una clausola di salvaguardia o almeno per un periodo transitorio, che eviti di cambiare le regole a giochi fatti e consenta di chiudere in continuità gli investimenti avviati prima della stretta.
Sarebbe una misura di buon senso, capace di coniugare il necessario presidio anti-abusi con la tutela della fiducia nelle politiche di incentivo produttivo.
In prospettiva, se non dovessero esserci ripensamenti, la combinazione tra proroga e stretta rischia da un lato di depotenziare una misura strategica per le aree speciali, e dall’altro di creare un notevole squilibrio finanziario per le imprese coinvolte, chiamate a gestire la liquidità “drenata” dal mutamento delle regole sulla compensazione.
Autore: Luigi Romano – Consulente in fiscalità d’impresa e incentivi agli investimenti

