Non è solo un’impressione, ma un dato di fatto che trova conferma nei principali rapporti pubblicati nel 2025 da fonti come Istat, Unioncamere, Confindustria e MIMIT. Nonostante qualche segnale positivo — come la ripresa dell’occupazione o i primi esperimenti con l’intelligenza artificiale — l’ossatura economica del Paese resta debole, troppo esposta a rischi sistemici e poco pronta a competere sui mercati globali.

Bassa produttività e crescita stagnante

I dati macroeconomici parlano chiaro. Il Centro Studi Confindustria stima una crescita del PIL italiano attorno allo 0,6% per l’anno in corso. Poco, troppo poco per imprimere una svolta. Peggio ancora va nel settore manifatturiero, storicamente dominato da PMI: l’indice PMI (Purchasing Managers’ Index) è fermo a quota 46,3 da gennaio — ben al di sotto della soglia di 50 che separa la crescita dalla contrazione.

L’Italia resta un paese di microimprese, con oltre il 95% delle aziende sotto i 10 dipendenti. Ma questo modello mostra grandi fragilità: le imprese troppo piccole non riescono a investire, non innovano e raramente “scalano”.

Sicurezza informatica: il tallone d’Achille

Un altro segnale d’allarme arriva dal “Cyber Index PMI 2025”, realizzato da Confindustria in collaborazione con Generali. Il report mostra che solo il 15% delle PMI italiane dispone di un piano maturo di cybersecurity. La media nazionale di maturità nella gestione dei rischi cyber è ferma a 52 su 100. In un contesto in cui i dati sono il nuovo “petrolio”, questa vulnerabilità strutturale rischia di trasformarsi in un serio freno alla competitività.

Digitalizzazione: tra luci e ombre

Eppure qualche segnale incoraggiante c’è. Secondo una recente indagine di Salesforce, il 90% delle PMI che ha introdotto soluzioni di intelligenza artificiale ha registrato un aumento di fatturato. Ma si tratta ancora di una élite: la maggioranza delle imprese italiane non ha né le competenze né le risorse per affrontare una vera trasformazione digitale.

La fotografia più chiara arriva dai territori. Le regioni del Centro-Nord (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto) guidano gli investimenti in tecnologie avanzate, mentre il Sud resta indietro, anche a causa di carenze infrastrutturali e una scarsa rete di supporto tecnico.

Il paradosso del lavoro

I numeri Istat sul mercato del lavoro sembrano, a prima vista, incoraggianti. A gennaio il tasso di occupazione ha toccato il 62,8%, un record storico. Ma sotto la superficie cova una fragilità: il 49,4% delle figure ricercate dalle imprese è di difficile reperimento, secondo Unioncamere. Mancano tecnici, ingegneri, profili digitali. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro resta una delle zavorre principali della produttività italiana.

Internazionalizzazione a due velocità

Sul fronte dell’export, Istat rileva una crescita dello 0,6% a gennaio, spinta soprattutto dalle vendite verso i paesi extra-UE. Ma anche qui la situazione è duale: poche medie imprese strutturate crescono e investono sui mercati globali, mentre la maggior parte delle PMI rimane ancorata a una dimensione locale o nazionale, frenata da barriere linguistiche, culturali e operative.

Oltretutto, la crescita registrata recentemente è anche frutto della corsa all’accaparramento di forniture dai Paesi UE da parte degli “stakeholder d’oltreoceano”, prima che i famigerati dazi entrino in vigore.

Le leve pubbliche: un sostegno ancora frammentario

Il governo ha rilanciato nel 2025 misure come la “Nuova Sabatini” (1,7 miliardi per investimenti produttivi) e incentivi per la transizione digitale e green, soprattutto al Sud. Ma tali strumenti, benché utilissimi, non bastano. Troppo spesso sono frammentati, lenti e farraginosi da attivare. Molte PMI, semplicemente, non riescono ad accedere ai fondi o non hanno le competenze per gestirli.

In definitiva, serve un cambio di visione. Le PMI italiane non crescono perché incatenate a un modello ormai superato: troppo piccole per investire, troppo tradizionali per innovare, troppo isolate per internazionalizzarsi.

Il 2025 ci dice che il problema non è solo economico, ma anche culturale e sistemico.

La sfida è tripla: innovazione e formazione (soprattutto digitale), finanza alternativa e semplificazione.

Senza un salto di qualità, le PMI continueranno a sopravvivere, ma non a prosperare. E con loro, a rimanere bloccata sarà l’Italia intera.

Autore: Luigi Romano

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