Non si tratta di un nuovo obbligo, ma di una stretta su uno già esistente: dal 31 ottobre 2025, con il Decreto Sicurezza sul Lavoro (D.L. n. 159/2025), cambia in modo sostanziale la gestione della PEC degli amministratori. Quella che fino a pochi mesi fa era una formalità assolta indicando talvolta la casella aziendale diventa ora un vincolo rigido, in quanto ogni amministratore dovrà disporre di una PEC personale, distinta e autonoma rispetto a quella della società, con ulteriori precisazioni e, a sorpresa, alcune esclusioni.
Il principio era stato introdotto in forma generica dalla legge di Bilancio 2025, che aveva esteso agli amministratori delle società l’obbligo di disporre di un domicilio digitale iscritto nel Registro Imprese. Ma la norma lasciava ampi margini di interpretazione, tanto che molte Camere di Commercio avevano consentito di indicare la stessa casella della società anche per gli amministratori. Il Decreto Sicurezza Lavoro mette fine a quella prassi: l’articolo 13, comma 3, stabilisce espressamente che il domicilio digitale dell’amministratore “non può coincidere con quello della società”.
L’obbligo riguarda, in particolare, solo alcune figure: l’amministratore unico, l’amministratore delegato o, in mancanza, il presidente del consiglio di amministrazione. Rientrano nel perimetro le società di capitali, le cooperative e le società consortili, mentre restano escluse le società di persone (Snc e Sas) e i consorzi non societari.
Nel caso di organo monocratico, come accade nelle società con amministratore unico, non vi sono dubbi: l’obbligo di indicare la PEC personale grava esclusivamente su quell’unico soggetto, persona fisica o, se l’amministratore è una persona giuridica, sulle persone fisiche che la rappresentano in tale ruolo. È la situazione più lineare, perché la casella personale identifica in modo univoco il vertice della gestione.
Diverso è invece il discorso per l’organo collegiale, cioè per le società amministrate da un consiglio di amministrazione. In questi casi il decreto individua con precisione chi è tenuto alla comunicazione.
Pertanto, se è nominato un amministratore delegato, la PEC da iscrivere sarà la sua; se invece non vi è delega, l’obbligo ricade sul presidente del consiglio di amministrazione. Gli altri consiglieri non sono espressamente menzionati dalla norma e, in base al tenore letterale, non sono soggetti all’obbligo. Tuttavia, parte della dottrina ritiene che, per coerenza sistematica, la regola possa essere estesa anche a tutti i componenti dell’organo amministrativo, specie nelle S.r.l. con amministrazione pluripersonale non collegiale, dove non esiste un vero consiglio di amministrazione ma più amministratori congiunti o disgiunti.
Resta quindi una duplice interpretazione: quella letterale, che limita l’obbligo al solo presidente o amministratore delegato, e quella estensiva, che suggerisce – per prudenza – di dotare di PEC personale tutti gli amministratori che esercitano poteri di gestione.
Tornando per un attimo alle società di persone escluse, solo in casi rarissimi, quando nei patti sociali siano stati previsti organi collegiali o modelli di amministrazione tipici delle società di capitali, si potrebbe ipotizzare l’applicazione della regola anche a queste forme. Ma si tratta di eccezioni accademiche.
Per chi è obbligato, invece, scattano tempi precisi. Gli amministratori già in carica al 31 ottobre 2025 dovranno comunicare la propria PEC personale al Registro Imprese entro il 31 dicembre 2025, mentre i nuovi nominati dovranno farlo contestualmente alla nomina. In assenza di comunicazione, la Camera di Commercio sospenderà la pratica di iscrizione o di variazione, e potrà applicare le sanzioni previste dall’art. 16, comma 6-bis, del D.L. 185/2008: da 206 a 2.064 euro, ridotte a un terzo se la regolarizzazione avviene entro trenta giorni.
Dal punto di vista operativo, ciò significa che ogni società di capitali dovrà disporre di due caselle PEC obbligatorie: una per l’ente e una per chi lo rappresenta. Quest’ultima dovrà essere personale, attiva e riconducibile univocamente alla persona fisica dell’amministratore. Non può essere una PEC condivisa, né una casella di studio, né tantomeno quella aziendale. È invece possibile utilizzare la stessa PEC personale per più incarichi, purché intestata all’amministratore e non collegata ad altri soggetti.
La finalità dichiarata è quella di migliorare la tracciabilità delle responsabilità e rendere più efficiente la comunicazione digitale con la pubblica amministrazione. Ma nella pratica, la misura si traduce in un raddoppio di adempimenti e costi, con caselle da aprire, monitorare e mantenere, con il rischio di notifiche perse e ulteriore burocrazia. Bisognerà mappare le cariche, attivare le nuove PEC, aggiornare le pratiche ComUnica e prevedere nei contratti d’incarico una clausola che obblighi l’amministratore a mantenerla attiva e vigilata.
Le società di persone, intanto, osservano da spettatori questa stretta digitale. La loro esclusione non è casuale, poiché il legislatore ha circoscritto l’obbligo alle forme societarie in cui la responsabilità gestionale è separata dalla persona dei soci. Ma resta la sensazione che si sia scelta la via più facile, quella di moltiplicare le caselle invece di semplificare le regole.
In un’epoca in cui la pubblica amministrazione proclama interoperabilità e semplificazione, l’idea di imporre una “proliferazione” di PEC suona come un paradosso. La trasparenza non cresce per duplicazione di adempimenti, ma per chiarezza. E così, mentre la norma pretende di rendere più “sicuro” il lavoro amministrativo, finisce per renderlo solo più complicato: due indirizzi, stessi documenti, stesso utente. Cambia soltanto la pazienza di chi dovrà assoggettarsi a questo nuovo, ridondante obbligo.
Autore: Luigi Romano – Consulente in fiscalità d’impresa e incentivi agli investimenti

