La Corte di Cassazione, con sentenza n.11206/2022, ha messo fine (speriamo) ad una controversia che si trascinava da anni, chiarendo che i redditi di capitale, derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa da parte del socio, sono ESCLUSI dalla base imponibile ai fini previdenziali.
Stavolta l’Inps è stata anche condannata al pagamento delle spese di lite, particolare abbastanza significativo, che confessa un evidente cambio di tendenza.
Ma per meglio comprendere la portata della sentenza in commento, facciamo qualche passo indietro.
Nell’anno 1992 la legge n. 438 stabilì che dal 1993 in poi, i contributi previdenziali per artigiani e commercianti andavano rapportati, su base annua, alla totalità dei redditi d’impresa DENUNCIATI ai fini Irpef.
L’Istituto previdenziale, senza tener conto della successiva L. 662/96, che aveva esteso l’obbligo di iscrizione anche ai soci di S.R.L. commerciali ed artigiane, solo SE partecipanti al lavoro aziendale con abitualità e prevalenza, con una sua interpretazione priva di fondamento normativo, ha iniziato a convogliare nel calcolo della base imponibile anche le quote di reddito ai fini IRES teoricamente attribuibili al contribuente, relative a società nelle quali lo stesso NON partecipava al lavoro con abitualità e prevalenza.
La Cassazione, confermando quanto già affermato da altra sezione del Palazzaccio nel 2019, ha ribadito che il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale, deve includere nella base imponibile contributiva TUTTI i redditi d’impresa che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale e che restano esclusi i redditi di capitale, identificabili in una mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa.