Con un approccio costruttivo ma vigile, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili promuove l’impianto della manovra 2026, chiedendo però correttivi mirati su alcune disposizioni che, se non riviste, rischiano di penalizzare imprese e professionisti. È quanto emerge dall’audizione del 3 novembre 2025 davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nella quale il tesoriere nazionale Salvatore Regalbuto e il coordinatore dell’area fiscalità Pasquale Saggese hanno illustrato le osservazioni ufficiali della categoria (Atto Senato n. 1689).

I commercialisti esprimono apprezzamento per gli interventi a favore del ceto medio, del lavoro dipendente e delle imprese: in particolare, la riduzione dell’aliquota IRPEF dal 35% al 33% per il secondo scaglione, la diminuzione dall’1% al 5% dell’imposta sostitutiva sui premi di risultato con innalzamento del tetto da 3.000 a 5.000 euro e le misure a sostegno delle imprese, come la reintroduzione della maggiorazione del costo per gli investimenti in beni strumentali nuovi (iper-ammortamento) e la conferma per il triennio 2026-2028 del credito d’imposta ZES e ZLS.

Accanto ai giudizi favorevoli, però, il CNDCEC segnala alcune grandi criticità, tra cui la norma sui pagamenti ai professionisti incaricati dalla Pubblica amministrazione (art. 129, comma 10), la stretta sulle compensazioni dei crediti d’imposta (art. 26) e il tema del riporto delle perdite fiscali, in particolare in presenza di contributi Covid.

Sul fronte dei professionisti, l’articolo 129, comma 10 del Ddl prevede che il pagamento dei compensi ai liberi professionisti che lavorano per la PA sia subordinato alla verifica della loro regolarità fiscale e contributiva. Il professionista dovrebbe produrre apposita documentazione ogni volta che emette fattura.
Per il CNDCEC, questa norma «rischia di produrre effetti distorsivi e ulteriori complicazioni burocratiche», perché non fissa né una soglia minima di debito oltre la quale scatta il blocco né un limite all’importo da trattenere. Anche irregolarità minime farebbero scattare il blocco dei pagamenti, con una evidente disparità di trattamento rispetto ad altri creditori pubblici, come i dipendenti.

Inoltre, viene sottolineato che la disposizione richiede la produzione di documenti e dati già nella disponibilità della PA, in contrasto con i principi di semplificazione e con lo Statuto del contribuente. Per questo il Consiglio nazionale chiede esplicitamente l’eliminazione della norma dal testo della manovra.

La seconda area di forte criticità riguarda l’articolo 26 del Ddl, dedicato alle misure di contrasto alle indebite compensazioni (v. MANOVRA 2026: DALLA STRETTA SULLE COMPENSAZIONI ALL’UTILIZZO DATI “E-FATTURE” DA PARTE DI ADER). La norma interviene sull’articolo 4-bis del DL 39/2024, estendendo dal 1° luglio 2026 il divieto di utilizzare in compensazione i crediti d’imposta agevolativi per il pagamento di contributi previdenziali, assistenziali e premi assicurativi a tutti i contribuenti, e non più soltanto a banche, intermediari finanziari e assicurazioni, come previsto dalla disciplina vigente.

Per i commercialisti, l’estensione generalizzata del divieto rischia di penalizzare soprattutto micro, piccole e medie imprese, oltre ai lavoratori autonomi, che spesso fanno affidamento sulla compensazione per gestire la liquidità. Il CNDCEC propone, in particolare, due interventi:

  • limitare il nuovo divieto alle imprese di grandi dimensioni, secondo la definizione UE (almeno due su tre parametri superati: 25 milioni di attivo, 50 milioni di ricavi, 250 dipendenti), per non colpire in modo sproporzionato i soggetti minori;
  • modificare la decorrenza, applicando le nuove regole solo ai crediti d’imposta sorti o acquistati dopo l’entrata in vigore della norma, così da tutelare il principio di legittimo affidamento di chi ha programmato investimenti nella vigenza delle vecchie regole.

Un capitolo a sé è quello dei dividendi. L’articolo 18 del Ddl modifica la disciplina degli articoli 59 e 89 del TUIR, limitando l’accesso al regime di esclusione da tassazione dei dividendi per le partecipazioni sotto il 10% (v. DIVIDENDI E PARTECIPAZIONI SOCIETARIE: COSA POTREBBE CAMBIARE DAL 2026). In pratica, i dividendi relativi a partecipazioni non qualificate verrebbero tassati integralmente in capo al socio, pur essendo già stati assoggettati a IRES in capo alla società che li distribuisce.

Secondo il CNDCEC, questa impostazione introduce una doppia imposizione economica e si pone in contrasto con la logica del regime di esclusione, introdotto nel 2004 proprio per allineare il sistema italiano a quello degli altri Paesi UE, evitando svantaggi competitivi e fenomeni di delocalizzazione delle holding. La richiesta dei commercialisti è di espungere la norma dal testo della manovra; in subordine, viene suggerito almeno di ridurre la soglia di partecipazione al di sotto della quale scatta la tassazione integrale e di escludere dal nuovo regime le partecipazioni quotate, per non disincentivare gli investimenti sui mercati regolamentati.

Infine, il documento del CNDCEC contiene due proposte di modifica di natura più tecnica, ma con impatti altrettanto rilevanti.

La prima riguarda il trattamento ai fini del reddito di lavoro autonomo dei differenziali positivi derivanti dall’acquisizione di crediti d’imposta: si chiede una disciplina che preveda la tassazione di tali differenziali solo per i crediti acquisiti dal 1° gennaio 2025, in coerenza con l’entrata in vigore della riforma del reddito di lavoro autonomo (Dlgs 192/2024), evitando di assoggettare retroattivamente a imposta operazioni concluse in un quadro normativo in cui quei differenziali erano pacificamente non tassati.

La seconda proposta è una norma di interpretazione autentica sui contributi e le indennità erogate durante l’emergenza Covid, che tanto sta facendo discutere, a seguito di un’interpretazione “restrittiva” di Agenzia Entrate, emersa in sede di controlli fiscali per il riporto delle perdite: il CNDCEC chiede di chiarire che tali somme, già escluse da imposizione, non riducono il diritto al riporto delle perdite fiscali ai sensi dell’articolo 84 TUIR. In altre parole, i contributi emergenziali devono essere neutri anche ai fini del calcolo delle perdite riportabili, per evitare di penalizzare proprio i soggetti maggiormente colpiti dalla crisi.

Nel complesso, il giudizio dei commercialisti è di cauto favore, ma con richieste di aggiustamento puntuali. La manovra viene promossa per l’impianto generale, ma viene chiesto al Parlamento di intervenire su compensazioni, dividendi, pagamenti ai professionisti e riporto perdite, per rendere il quadro più coerente, proporzionato e in linea con i principi di affidamento e semplificazione.

Per concludere, nel condividere integralmente le richieste del CNDCEC, riteniamo che il fisco può (potrà) funzionare solo se regole e prassi sono sostenibili per chi deve applicarle ogni giorno (imprese, professionisti e contribuenti) senza trasformare ogni legge di bilancio o, più in generale, ogni nuova norma in un cambio di regole a partita in corso.

Autore: Luigi Romano – Consulente in fiscalità d’impresa e incentivi agli investimenti