Con la pubblicazione della corposa Circolare 9/E del 24 giugno 2025 (ben 77 pagine), l’Agenzia delle Entrate ha chiarito il funzionamento del nuovo Concordato Preventivo Biennale (CPB) per i periodi d’imposta 2025 e 2026. Il nuovo quadro normativo, ridefinito anche dal decreto correttivo (D.lgs. 81/2025), presenta elementi di continuità rispetto al biennio precedente, ma introduce anche novità che, in diversi casi, ridimensionano l’appeal della misura per molti contribuenti.
Per cominciare, a differenza del CPB 2024–2025, non vi è traccia di alcuna sanatoria per le annualità pregresse. Il ravvedimento speciale, che consentiva ai contribuenti concordatari di regolarizzare il passato con imposte sostitutive ridotte e limitazioni agli accertamenti, non è stato reintrodotto nella nuova edizione del concordato. Oggi l’adesione al CPB garantisce esclusivamente benefici in ottica prospettica, con la limitazione o l’esclusione da accertamenti sul biennio concordato, ma nessuna agevolazione retroattiva.
Una delle novità strutturali introdotte nel CPB 2025–2026 è il meccanismo di gradualità nell’elaborazione della proposta. In sostanza, il reddito concordato per il primo anno del biennio, il 2025, viene costruito partendo dal reddito dichiarato nel 2024, ma corrisponde solo alla metà dell’incremento stimato per il 2026. Ciò significa che l’impegno fiscale non viene caricato interamente all’inizio, ma distribuito nel biennio. Tale impostazione dovrebbe consentire, ai contribuenti che aderiscono al nuovo “patto” col Fisco, di giungere ad una piena affidabilità fiscale, senza bruschi salti di reddito imponibile.
Un secondo importante meccanismo premiale riguarda i contribuenti che, sulla base degli ISA, hanno già dimostrato un elevato livello di affidabilità. Per questi soggetti, la normativa introduce dei tetti massimi all’incremento che può essere proposto rispetto al reddito storico. Ad esempio, chi ha ottenuto il massimo livello di affidabilità (punteggio 10) non potrà vedersi proposto un aumento superiore al 10% del proprio reddito (opportunamente epurato delle variabili straordinarie). Tali soglie crescono moderatamente al diminuire del punteggio, ma spariscono qualora i valori calcolati con la metodologia ISA settoriale siano comunque più elevati. Questo significa che la tutela percentuale non è assoluta, ma condizionata ai benchmark statistici, che continuano a rappresentare un punto fermo nell’elaborazione delle proposte.
Uno dei temi più sensibili e controversi è il trattamento del reddito effettivo superiore a quello concordato. Nella prima edizione del CPB, relativa al biennio 2024–2025, era prevista l’applicazione di una flat tax incrementale con aliquota agevolata (dal 10 al 15%), indipendentemente dal reddito effettivamente conseguito rispetto a quello concordato. Si trattava di un regime premiale di favore, utile a incentivare l’emersione di redditi maggiori senza penalizzare il contribuente, che poteva godere di una tassazione molto contenuta sull’incremento.
Questo impianto è stato completamente rivisto. A partire dal CPB 2025–2026, infatti, la disciplina cambia in modo sostanziale: l’extra reddito rispetto a quanto concordato viene tassato con la flat tax fino alla soglia di 85.000 euro, mentre l’eccedenza sarà assoggettata ad una tassazione del 43% per i soggetti IRPEF e del 24% per i soggetti IRES e questa novità, ne siamo quasi certi, rappresenterà un forte disincentivo per i contribuenti che avevano valutato l’adesione per il biennio 2025-2026.
Si tratta, infatti, di una svolta che riduce la convenienza del CPB per i soggetti con redditività tendenzialmente elevata o in crescita, i quali si troveranno a pagare una sostitutiva con un’aliquota assimilabile a quella massima IRPEF. L’intento del legislatore è chiaro: mantenere la neutralità del concordato anche in presenza di scostamenti verso l’alto, ma al prezzo di una tassazione molto incisiva sull’extra reddito.
Infine, c’è anche un altro aspetto che merita una particolare attenzione. Come chiarito nella Circolare in commento, per chi decide di non aderire al CPB ci sarà un piano di controlli rafforzato da parte di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza. I contribuenti che non aderiscono al concordato, oppure vi aderiscono per poi non rispettarne le condizioni, diventano candidati naturali per l’attività accertativa intensiva. Non sarà necessario attendere scostamenti macroscopici, in quanto la sola mancata adesione potrà costituire un “indicatore di rischio”.
In questo contesto, la non adesione comporterà una probabilità molto più elevata di ricevere:
- inviti al contraddittorio,
- richieste di documentazione bancaria o extracontabile,
- controlli incrociati basati su prelievi non giustificati o spese anomale,
- ispezioni e verifiche fiscali classiche.
Come evidenziato anche da fonti specializzate, l’Agenzia delle Entrate ha già avviato test pilota di incrocio automatico dei movimenti bancari con i dati dichiarati, e il CPB potrebbe rappresentare la cornice ideale per estendere questi strumenti su vasta scala.
In definitiva, il CPB 2025–2026 si presenta come uno strumento più sofisticato, ma anche più rigido e meno generoso rispetto al passato. Se nel biennio precedente il concordato rappresentava un’occasione per chiudere con il passato, grazie al ravvedimento speciale e alla flat tax sull’extra reddito, oggi la misura si limita a garantire certezza del carico fiscale (e del gettito erariale) futuro. Chi ha redditi stabili e livelli alti di affidabilità potrà ancora trarne vantaggio, specie in termini di serenità nei confronti del Fisco. Per altri, invece, potrebbe rivelarsi un terreno più accidentato, se non addirittura penalizzante sul piano economico.
La convenienza dell’adesione, dunque, richiede oggi un’analisi molto più attenta e personalizzata rispetto al passato. E anche questo è un segno della maturazione – ma anche della complessità – che il concordato sta assumendo nel nuovo scenario fiscale italiano, di suo già abbastanza “articolato”.
Autore: Luigi Romano