La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24669/2025, depositata il 6 settembre 2025, ha ribadito che anche semplici appunti o quaderni extracontabili rinvenuti durante una verifica fiscale possono costituire prova sufficiente per accertare ricavi non dichiarati, confermando così un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia di accertamento analitico-induttivo.
Il caso
La vicenda trae origine da un accertamento condotto presso una società gestita da due imprenditori di nazionalità cinese.
Nel corso della verifica, la Guardia di Finanza rinveniva, sotto il registratore di cassa, due quaderni nei quali erano annotati incassi effettivi difformi rispetto a quelli riportati nel libro dei corrispettivi ufficiale.
Le indagini evidenziavano, inoltre, una serie di irregolarità contabili: mancata emissione di scontrini fiscali, distinte delle rimanenze incomplete, fatture prive dell’indicazione della natura e qualità della merce e una gestione fortemente basata su pagamenti in contanti.
Sulla base di tali elementi, l’Agenzia delle Entrate procedeva alla ricostruzione dei ricavi applicando un ricarico medio ponderato, esteso anche ad altri periodi d’imposta interessati da tali “annotazioni”.
Come normalmente accade, tali rilievi sono stati successivamente impugnati dalla società, con accoglimento del ricorso in primo grado (Commissione Tributaria di Trento) in favore della società e dei soci. Di diverso avviso la Commissione di secondo grado che, ribaltando la decisione di primo grado, riteneva che i quaderni rappresentassero la contabilità effettiva dell’impresa.
La lite, approdata in Cassazione, ha trovato conferma sulla correttezza di tale ultima impostazione, rigettando il ricorso dei contribuenti.
Il principio della contabilità “in nero”
La Suprema Corte ha riaffermato il principio già espresso in precedenti pronunce (Cass. nn. 25610/2006, 24051/2011, 21432/2024):
“Gli appunti personali e le informazioni provenienti dall’imprenditore, dai quali si possa evincere una sorta di contabilità in nero, rappresentano un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall’art. 39 del D.P.R. 600/1973.”
Tali documenti – anche se non obbligatori – rientrano nel concetto di scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e seguenti del codice civile, poiché idonei a rappresentare, in termini quantitativi o monetari, l’attività d’impresa.
Di conseguenza, la documentazione extracontabile può essere utilizzata per fondare un accertamento presuntivo, senza che sia necessario un riscontro contestuale di irregolarità formali. È poi onere del contribuente fornire la prova contraria.
La prova contraria e il limite del giudizio di legittimità
Nel caso concreto, la difesa degli imprenditori cinesi aveva sostenuto che i quaderni rinvenuti fossero meri appunti di magazzino, utilizzati per registrare lo spostamento della merce dagli scaffali alla vendita. La Corte ha ritenuto tale spiegazione “inverosimile”, osservando che le annotazioni riportavano invece incassi giornalieri e dati riconducibili a operazioni di vendita.
Gli Ermellini hanno inoltre ricordato che il giudizio di legittimità non consente di rivalutare le prove già esaminate dai giudici di merito: il controllo della Corte si limita a verificare la coerenza giuridica e logica della motivazione.
Le conseguenze giuridiche
La pronuncia conferma la legittimità dell’accertamento analitico–induttivo anche in presenza di documenti extracontabili di natura personale, quando essi risultino coerenti e circostanziati.
La mancanza di prova contraria da parte dei contribuenti, unita alle irregolarità riscontrate nella contabilità ufficiale, ha reso pienamente fondata la ricostruzione dei ricavi operata dall’Amministrazione finanziaria.
Il ricorso è stato rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (euro 5.900,00 oltre accessori di legge).
L’ordinanza in commento si inserisce in una linea giurisprudenziale che rafforza il principio di effettività della prova tributaria e la possibilità per l’Amministrazione di valorizzare ogni elemento idoneo a rappresentare operazioni economiche reali.
La Corte, nel solco di precedenti consolidati, ribadisce così che la “contabilità in nero”, quando documentata da appunti personali attendibili, è pienamente valutabile ai fini dell’accertamento, contribuendo a rendere più coerente e uniforme il sistema di contrasto all’evasione fiscale.
Autore: Luigi Romano – Consulente in fiscalità d’impresa e incentivi agli investimenti

