La Risposta n. 291 del 12 novembre 2025 dell’Agenzia delle Entrate interviene su un tema che, negli ultimi anni, ha alimentato letture disinvolte e proposte commerciali sempre più aggressive. Reti di imprese, accordi di collaborazione, anticipazioni dietro corrispettivo e varie forma contrattuali hanno spesso suggerito la possibilità di far utilizzare i crediti fiscali maturati da un soggetto per estinguere i debiti erariali di un altro. Una pratica che l’Agenzia smentisce in modo netto, chiarendo che la compensazione nel modello F24 richiede la piena coincidenza tra il titolare del credito e il titolare del debito. Senza questa identità soggettiva, la compensazione non esiste e il debito resta da pagare.

Il caso esaminato riguardava una rete d’impresa che aveva costruito un articolato sistema interno con cui un retista avrebbe potuto utilizzare i propri crediti per compensare i debiti di un altro partecipante, formalizzando il tutto con contratti di appalto e indicazione della coobbligazione nel modello di pagamento. L’Agenzia ricorda che l’articolo 17 del D.Lgs. 241 è una norma speciale che disciplina la compensazione tributaria in modo rigoroso. Non rileva la volontà privata delle parti né la veste civilistica adottata. Non rileva la presenza di rapporti sinallagmatici reali, né l’esistenza di un corrispettivo economico. La compensazione è ammessa solo quando credito e debito fanno capo allo stesso soggetto. In tutti gli altri casi, l’F24 è considerato non versato e si applicano le sanzioni per omesso pagamento.

Nemmeno l’accollo fiscale, istituto previsto dallo Statuto del contribuente, offre un appiglio. L’accollo è certamente possibile, ma l’accollante deve estinguere il debito con risorse proprie e non attraverso l’impiego dei propri crediti fiscali. Si tratta di un limite che non deriva da un intervento recente del legislatore, ma dal funzionamento originario della compensazione tributaria, costruita sul principio di soggettività unitaria del rapporto estintivo.

La posizione dell’Agenzia è perfettamente coerente con l’Ordinanza n. 3930 del 16 febbraio 2025 della Corte di Cassazione, richiamata nella stessa risposta. La Suprema Corte ha ribadito che l’accollo produce effetti solo nei rapporti tra le parti e non altera la posizione del contribuente di fronte all’Erario. Il debitore resta sempre l’accollato e non è possibile utilizzare i crediti dell’accollante per estinguere debiti altrui. È un limite strutturale, non superabile con strumenti negoziali o con architetture contrattuali più o meno sofisticate.

Sia chiaro, questo divieto non mette in discussione la cedibilità dei crediti fiscali quando la legge la prevede espressamente. I crediti cedibili esistono e continuano a circolare secondo le norme che li disciplinano. Ciò che l’Agenzia chiarisce è che, in caso di compensazione tramite modello F24, i crediti possono essere impiegati solo dal soggetto a cui risultano intestati. La compensazione, diversamente dalla cessione, resta un meccanismo personale, non estensibile e non trasferibile.

L’intervento dell’Agenzia delle Entrate, letto alla luce della giurisprudenza più recente, lascia dunque un quadro privo di ambiguità. I crediti fiscali possono essere ceduti nei casi in cui la legge lo consente, ma non possono essere utilizzati per compensare debiti erariali di terzi. Ogni operazione che tenta di introdurre una “compensazione condivisa” o multilaterale è destinata a essere disconosciuta. E chi vi aderisce rischia di trovarsi con un debito ancora aperto e con le relative sanzioni. Un punto fermo che chiude definitivamente la porta alle interpretazioni più ardite.

Autore: Luigi Romano – Consulente in fiscalità d’impresa e incentivi agli investimenti