L’ultima rilevazione dell’Osservatorio sul mercato del lavoro dell’INPS, aggiornata a marzo 2025, fornisce una fotografia composita e in parte contraddittoria del mondo del lavoro italiano. L’impressione che emerge non è quella di una crisi aperta, ma di un sistema che, pur mantenendo un certo equilibrio, fatica a generare nuova occupazione. Si assume meno, si stabilizza di più, ma soprattutto si resta in attesa.

Il dato più evidente è il calo delle nuove assunzioni nel settore privato, che si attestano a 1.844.723 nel primo trimestre 2025, in calo del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2024 (1.973.593). Questa flessione non risparmia nessuna tipologia contrattuale:

  • stagionali: -19,3%;
  • apprendistato: -8,4%;
  • tempo indeterminato: -7,4%;
  • tempo determinato: -4,9%;
  • intermittenti: -3,7%;
  • somministrazione: -2,5%.

È un rallentamento trasversale, che interessa tutte le classi dimensionali d’impresa e conferma una diffusa prudenza occupazionale.

Un aspetto meno evidente, ma fondamentale, è il forte aumento delle trasformazioni contrattuali:

  • le trasformazioni da tempo determinato a indeterminato crescono del +7% (213.000 unità);
  • le conferme degli apprendisti a fine periodo formativo salgono del +10%, da 28.000 a 31.000.

Questi numeri suggeriscono che, se da un lato le imprese evitano di assumere nuovo personale, dall’altro tendono a trattenere e stabilizzare chi già lavora. È un segnale potenzialmente positivo, ma anche indicativo di un mercato meno dinamico, dove la creazione di nuove opportunità sembra rallentata.

Sul versante opposto, anche le cessazioni risultano in calo: -4,2% rispetto al primo trimestre 2024, per un totale di 1.495.000 uscite. Ma non tutte le forme contrattuali seguono la stessa traiettoria. I contratti intermittenti (+5%) e stagionali (+2%) vedono un aumento delle cessazioni, probabilmente sintomo di una maggiore instabilità nei settori a bassa qualificazione.

Un elemento abbastanza significativo emerge dall’analisi delle motivazioni delle cessazioni: diminuiscono i licenziamenti disciplinari (-14%) e le dimissioni (-7%), mentre crescono le risoluzioni consensuali (+10%) e, seppur lievemente, i licenziamenti economici (+2%). Un mix che potrebbe indicare, più che un miglioramento, una fase di ristrutturazione cauta e guidata da esigenze aziendali.

Il vero punto dolente è rappresentato dalle assunzioni agevolate, in netto calo, con un -16% rispetto al 2024, con punte critiche:

  • giovani: -24%;
  • donne: -16%.

La causa è nota e, almeno in parte, tecnica: i decreti attuativi delle misure di decontribuzione sono arrivati solo a maggio, lasciando le imprese nell’incertezza normativa per mesi. Ma questo dettaglio burocratico ha impattato pesantemente su un mercato del lavoro già esitante, dimostrando quanto la fiducia delle imprese dipenda dalla prontezza e chiarezza delle politiche pubbliche.

A marzo 2025 si registra comunque un saldo positivo di 300.000 posizioni di lavoro su base annua. Tuttavia, la lettura disaggregata rivela un quadro meno rassicurante, in quanto:

  • il tempo indeterminato guadagna +322.000 posizioni;
  • tutte le altre forme contrattuali sommate perdono -22.000 posti.

La “tenuta” del mercato è quindi dovuta quasi esclusivamente alla stabilizzazione, non alla creazione di nuova occupazione. E questo implica un potenziale effetto di stagnazione nel medio periodo.

In sintesi, il primo trimestre del 2025 non ci consegna un mercato del lavoro in difficoltà strutturale, ma un’economia del lavoro in modalità difensiva. La priorità per le imprese sembra essere la gestione delle risorse valide già acquisite, più che l’espansione. È un atteggiamento razionale, in un contesto segnato da inflazione, costi energetici elevati e incertezze geopolitiche, ma che rischia di penalizzare giovani, donne e lavoratori precari.

Serve dunque una strategia che non si limiti a misurare i numeri, ma che intervenga sulle cause profonde del blocco dell’ingresso nel mercato. La qualità dell’occupazione è migliorata, ma la quantità rallenta e ne stanno pagando il prezzo le categorie di lavoratori più fragili.

Autore: Luigi Romano

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