Negli ultimi anni, un silenzioso ma profondo cambiamento ha riscritto le regole del valore aziendale. A fare la differenza oggi non sono più i macchinari, i capannoni o la quantità di capitale investito. Le imprese che prosperano sono quelle che coltivano il proprio capitale intellettuale, investono nella relazione con il cliente, curano la reputazione del brand e adottano comportamenti sostenibili.

È il trionfo degli asset immateriali, quelle risorse intangibili che, se ben gestite, si trasformano nei pilastri del vantaggio competitivo. Un cambio di paradigma che va di pari passo con l’evoluzione normativa, sempre più orientata a rendere sostenibile e trasparente la crescita delle imprese.

Un dato su tutti racconta la portata della trasformazione: dagli anni ‘70 ad oggi il valore delle società inserite nell’indice azionario Standard & Poor’s 500 deriva per oltre l’80% da intangible assets, basti pensare ad alcune tra le aziende più capitalizzate al mondo come Apple, Amazon, Meta, Microsoft, che hanno costruito imperi su basi intangibili: software, know-how, community digitali, esperienze utente.

Persino nel settore manifatturiero, un tempo roccaforte della materialità, a guidare la scelta d’acquisto non è più solo il prodotto, ma il design, la reputazione, il servizio, l’affidabilità.

Il vero “generatore” di valore è oggi il capitale umano, fatto di intuizione, intelligenza, leadership, relazioni.

Ma per trasformare queste risorse in valore aziendale servono strumenti nuovi. La BSC (Balanced Scorecard), ad esempio, consente di misurare e gestire dimensioni qualitative come l’innovazione, la formazione, la soddisfazione del cliente, l’efficienza dei processi interni. Un’evoluzione del controllo di gestione che integra la doppia dimensione della performance, tra dati economici e strategie.

Anche a livello europeo assistiamo ad un cambio di paradigma per la creazione di valore, per la collettività ed il pianeta, che interessa in particolare le imprese.

Infatti, l’Unione Europea spinge verso un’economia più responsabile. Con l’introduzione della direttiva sul dovere di diligenza e la rendicontazione di sostenibilità, alle imprese si chiede di rendere conto degli impatti ambientali, sociali e di governance delle proprie attività.

Il recente “Stop the clock” approvato ieri 3 aprile 2025 dal Parlamento UE, ha posticipato l’entrata in vigore delle nuove regole, concedendo alle aziende più tempo per adeguarsi. Ma il senso del cambiamento è chiaro ed irreversibile: le imprese devono attrezzarsi per misurare e comunicare il proprio impatto, non solo economico ma anche etico.

Siamo spettatori (e sempre di più protagonisti) di una svolta epocale: da utile, inteso come valore economico, ad utilità che crea valore sostenibile e capitalizzabile.

Il futuro non appartiene a chi rincorre la redditività a breve termine, ma a chi costruisce modelli di business sostenibili e inclusivi. I fattori immateriali e la sostenibilità non sono più elementi accessori, ma componenti essenziali di una strategia vincente.

L’impresa di domani sarà quella che saprà fondere valore e valori, performance e trasparenza, capitale economico e capitale umano. Non più semplicemente produttiva, ma proattiva, capace di anticipare i cambiamenti e rispondere con responsabilità.

In un contesto in cui il valore si misura sempre meno in bilancio e sempre più nell’impatto sul mondo, le imprese che metteranno al centro intangibili e sostenibilità saranno le vere protagoniste della nuova economia.

Autore: Luigi Romano

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