La presunzione di attribuzione automatica, ai soci di società di capitali a ristretta base partecipativa, degli utili emersi a seguito di verifiche fiscali, dalle quali emergono ricavi “in nero”, costituisce una delle peggiori creazioni emerse dalle interpretazioni della giurisprudenza (pro Fisco), pur in assenza di una norma specifica posta a suo fondamento.
Anche se la giurisprudenza di merito ha più volte contrastato questa impostazione, difficilmente è riuscita a superare lo scoglio della Cassazione che, ripetutamente, ha argomentato che tale presunzione non può dirsi illogica.
Tuttavia, in tempi recenti, si sta formando un filone giurisprudenziale di segno opposto, più garantista per il contribuente.
In base alla recente ordinanza della Cassazione, sez. VI, 21.02.2022, n. 5575, la presunzione di distribuzione ai soci di società di capitali a ristretta base partecipativa degli utili extracontabili, operi in via automatica soltanto nel caso di soci muniti di rappresentanza legale, mentre per gli altri soci la prova del coinvolgimento nella gestione sociale è a carico dell’Agenzia Entrate.
Princìpi del resto già emersi in precedenti pronunce (Cass. 19680/2012, 24572/2014, 1932/2016, 26873/2016, 17461/2017, 18042/2018, 23247/2018) ove si afferma che la presunzione può essere vinta dimostrando l’estraneità alla gestione ed alla conduzione societaria, a cui potremmo aggiungere tre ordinanze (21.02.2022, nn. 5606, 5607 e 5608) in cui si afferma che la presunzione si applica solo nei confronti dell’amministratore e non anche nei confronti dei soci, se estranei alla gestione sociale.
Nella stessa direzione l’ennesima, recentissima Ordinanza (24.02.2022, n. 6119).
L’orientamento, che va consolidandosi, ci mostra la strada per contrastare validamente le pretese del fisco, dando prova della propria estraneità alla gestione e conduzione degli affari sociali.